Stefano Modenini, direttore dell'Associazione industriali
"Arrivano segnali posiviti,
ordini superiori alle attese"
LIBERO D'AGOSTINO
Per l’industria ticinese il 2020 si è chiuso con una generale riduzione del fatturato, nei primi mesi del 2021 si sono, invece, registrati dei segnali positivi. "La situazione, per fortuna, è migliore di quella ipotizzata alla fine dell’anno scorso. Gli ordini per le aziende sono, infatti, superiori alle attese. Ovviamente, ci sono differenze da settore a settore e a volte persino tra le imprese di uno stesso comparto", spiega Stefano Modenini, direttore dell’Aiti, l’Associazione delle industrie ticinesi.
Quali sono le imprese ancora in difficoltà?
"A soffrire di più sono alcune imprese che lavorano per il settore dell’aviazione civile, da un anno ridotta ai minimi termini, che si ritrovano con gli ordinativi bloccati. In difficoltà ci sono poi decine di aziende, anche di medie dimensioni, che forniscono componenti ai grandi marchi dell’auto".
Le industrie non sono state coinvolte nei lockdown, ma hanno comunque subito i contraccolpi della crisi innescata dalla pandemia. Con quali conseguenze?
"L’impatto maggiore è stato sulla capacità d’investimento, perché le aziende sono comunque costrette ad investire se vogliono restare competitive. I crediti Covid li hanno utilizzati solo in parte, più che altro li hanno tenuti come riserva di liquidità, preferendo attingere ai capitali propri. Capitali che vanno però erodendosi. Non è certo una situazione facile, si è accentuato il rischio che alcune imprese si trasferiscano in Paesi che offrono condizioni quadro migliori".
Su quali carte puntare per il futuro?
"Su quelle di sempre: innovazione e formazione. Sull’innovazione, però, bisogna, essere chiari, non è che essa si traduca automaticamente in più occupazione. Innovazione significa anche specializzazione, quindi più posti sì, ma in numero limitato e più qualificati".
E per la formazione?
"Abbiamo innanzitutto il problema di una fascia intermedia di lavoratori, dai 40 ai 60 anni, che va accompagnata in un percorso di riqualificazione professionale, è c’è la necessità ormai inderogabile di riorientare il sistema formativo".
In che direzione?
"Siamo un Paese che in passato ha puntato sui lavori amministrativi, ma se vogliamo avere più aziende ad alto valore aggiunto, come si ripete spesso, dobbiamo anche avere il personale adeguato. Dunque, servono più scuole tecniche e meno scuole commerciali. Altrimenti andremo incontro ad un declino programmato".
Una sfida non da poco?
"La vera sfida è un’altra. Dobbiamo domandarci tutti che Cantone vogliamo tra dieci, vent’anni. Come Aiti lavoreremo per approfondire una visione del Ticino per il prossimo ventennio".
27.03.2021