Angel Bipendu Kalela
"Potremo nuovamente
stringerci le mani"
GIUSEPPE ZOIS
Ha conosciuto diverse facce dell’emergenza: per due anni è stata sulle navi della Guardia Costiera per il salvataggio dei migranti in pericolo di vita nella traversata del Mediterraneo dalla Libia verso l’Italia. Suora e medico, Angel Bipendu Kalela, 47 anni, nata a Kananga nel Congo, ha dovuto suturare ferite da torture, assistere partorienti, curare casi di ipotermia o scottature da sole. Un nodo le serra ancora la voce in gola quando ripensa ai profughi annegati, al recupero delle salme e al tentativo di risalire alla loro identità e provenienza dai pochi ricordi dei sopravvissuti. Lasciate le navi del Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta, si è trasferita da ormai due mesi sugli avamposti della lotta al coronavirus, in una delle zone più colpite: Bergamo.
Quella di Suor Angel è una vita da samaritana proprio estrema, per fedeltà al proposito di aiutare a oltranza. Sempre in lotta, dalla parte della vita, vedendo purtroppo spesso la morte accanto…
Emotivamente teso il suo racconto: "Con i migranti ho conosciuto una realtà, ciò che sto vedendo e vivendo adesso è più drammatico rispetto ai rischi che assumono quanti si mettono in mare per venire in Europa. Qui ci sono migliaia e migliaia di persone malate, con molti morti. Chi si imbarca sa a cosa va incontro; dentro questo ciclone, non sappiamo che cosa ci aspetta. Stiamo combattendo contro un virus occulto, mutevole e letale: ora si sa qualcosa, prima niente".
Medico e suora, corpo e anima: "Accanto ai farmaci io metto anche la forza della preghiera. Il Signore è capace di compiere miracoli laddove per noi è inimmaginabile. Per me sono due facce della stessa medaglia, la vita professionale e la fede. Prima di qualsiasi intervento, io prego, chiedo a Dio di darmi la forza di fare bene ciò che mi appresto ad affrontare in quel momento. Le due dimensioni non vanno disgiunte e non entrano neppure in contrasto. Io devo saper dare il miglior aiuto al prossimo, che ha bisogno di me in quel momento: fisicamente, moralmente, spiritualmente".
Nel modo in cui ora si veste e si presenta per proteggersi dal contagio, nessuno sa che il medico - di colore - è anche suora: "Lo dico al termine, quando mi presento. Ho dovuto costatare decessi, stare con i parenti, consolarli. A volte sono i familiari che mi chiedono di recitare una preghiera insieme e rimangono consolati. Curando al domicilio è possibile instaurare un rapporto più diretto, più intenso sia con i malati sia con i familiari, nonostante si debbano rispettare certe precauzioni tassative. Ci ritroviamo in una situazione dove uno non può avvicinarsi all’altro, condannati all’incomunicabilità. Marito e moglie, spesso anziani, si sono ritrovati separati per forza dentro la stessa casa o allo stesso ospedale e qualcuno è anche morto senza che l’altro sapesse. Anche questo è un mio cruccio quotidiano. Mi tormenta l’afflizione che prova chi deve morire in un deserto affettivo e spirituale, privato degli ultimi gesti di tenerezza, delle parole che suggellano una vita. Pesa moltissimo l’impossibilità di poter elaborare il lutto, di rendere l’estremo saluto a un congiunto o a una persona cara. È un disastro. Rivedo tutti quei camion militari che trasportavano bare verso destinazioni ignote. Un incubo lugubre e agghiacciante".
Dopo una pausa di commozione, suor Angel aggiunge: "Molti si erano fatti l’idea di poter dominare tutto, con la scienza e la tecnologia. Dobbiamo cercare di cogliere l’essenziale della vita, sentirci più uniti. Mai come ora si sperimenta il senso della fragilità umana. La possiamo superare meglio insieme".
A colpire di più la religiosa in questa interminabile notte "sono la solitudine, la sofferenza e il silenzio. Anche i bambini sanno che c’è il coronavirus e stanno peraltro pagando un elevato prezzo, costretti al chiuso, senza poter respirare la gioia e la libertà della primavera con i compagni di scuola e di gioco".
Sono in molti a ritenere che questa emergenza ci cambierà, volenti o nolenti. La dottoressa-suora ne è convinta, vede tuttavia molte ombre accanto alle luci: "Penso sia difficile tornare alla vita di prima senza sentirsi in alcun modo toccati o segnati da questa pandemia. Da una parte abbiamo riscoperto valori importanti per tutti, come il volontariato, la solidarietà e la generosità di molte persone, il tempo per ristabilire contatti. Ma ci imbatteremo anche in atteggiamenti di diffidenza, di paura, di ossessiva distanza prudenziale. Un colpo di tosse e uno starnuto ci metteranno in apprensione".
Sempre pronta a partire, a qualsiasi ora, verso un’altra casa per alleviare sofferenze, inesausta nel portare e diffondere speranza, suor Angel si pone una cruciale domanda: "Quando torneremo a riabbracciarci e a salutarci come prima? Una cosa dobbiamo imparare: più stiamo distanti, più disperdiamo il calore dell’incontro".
26.04.2020