La rabbia contro il razzismo diventa strategia politica
La protesta brucia l'America
e mina il consenso di Trump
ALESSANDRA BALDINI DA NEW YORK
Ancora un afroamericano ucciso. Stavolta è successo ad Atalanta e a sparare, nella notte tra venerdì e ieri, sabato, sarebbe stato sempre un agente. La vittima, secondo la Cnn, sarebbe Rayshard Brooks, 27 anni. Le notizie sono frammentarie. Le immagini rilanciate dalle tv fanno vedere decine di persone radunate dove è successa la tragedia mentre cantano "no justice, no peace". L’uomo, dopo essere stato fermato avrebbe tentato di prendere il "teaser" di un poliziotto che tentava di bloccarlo, e uno degli agenti avrebbe sparato mentre fuggiva. Ma la ricostruzione dell’accaduto è ancora lacunosa.
Un nuovo episodio dunque che alimenta la protesta. Una protesta che da Malcolm X a Toni Morrison, sino agli attivisti e intellettuali neri per decenni hanno argomentato dando la colpa primaria del razzismo ai bianchi: mai però prima di oggi il potenziale di un movimento antirazzista bianco è apparso più reale. Nelle ultime settimane decine di migliaia di bianchi si sono uniti agli afro-americani di Black Lives Matter per protestare contro gli abusi della polizia e le ingiustizie razziali. Media, corporation, le stesse forze dell’ordine hanno avviato un esame di coscienza dopo l’uccisione di George Floyd sotto il ginocchio del poliziotto bianco Derek Chauvin.
Tagli ai bilanci delle polizie. Bando in molte città alla "presa al collo" come quella di Floyd che per il presidente Donald Trump resta una manovra "innocente e perfetta". A Louisville in Kentucky non si faranno più perquisizioni "senza bussare" come quella che costò la vita alla giovane nera Breonna Taylor. E poi, Nascar senza bandiere confederate alle gare, così come nelle città del Sud, ma non solo, rotolano le teste di marmo dei generali sudisti e di Cristoforo Colombo. Se Hbo mette al bando il "razzista" Via col Vento in attesa di poterlo ripresentare contestualizzato storicamente, Hollywood riscrive le regole promettendo la fine degli #OscarSoWhite mentre Anna Wintour si scusa con i neri di "Vogue". È da quando Floyd è stato ucciso a Minneapolis che l’America scende in piazza in grandi città e piccoli paesi fino alla capitale, Washington, proprio davanti alla Casa Bianca: l’ira che che da quel 25 maggio infiamma buona parte della nazione coinvolgendo nella causa gente di tutte le razze ha avuto i primi effetti. Il più importante: una crisi di sostegno nella monolitica base del presidente.
Dall’ex presidente George W. Bush all’ex segretario di Stato Colin Powell, l’ex capo del Pentagono John Mattis, i senatori Mitt Romney e Lisa Murkowski, leader repubblicani storici hanno preso le distanze. Clamoroso il colpo di scena in Senato: un emendamento democratico al bilancio della difesa per ribattezzare basi militari intitolate agli "eroi" della Confederazione è stato approvato dalla Commissione Difesa a guida Gop. Si tratta di riscrivere i libri la storia col beneplacito del Pentagono. Trump è stato messo in scacco perché fermare il provvedimento bloccherebbe l’aumento delle paghe dei militari.
Sono passati oltre tre anni da quando Barack Obama, il primo presidente nero nella storia degli Usa, ha lasciato la Casa Bianca. A cinque mesi dal voto un clima di apprensione aleggia nel Paese tra 113 mila morti per la pandemia, decine di milioni di disoccupati e fiumi di persone in strada a protestare. Trump tira dritto presentandosi come presidente "law and order": invoca l’uso dell’esercito per "domare" i manifestanti agitando infondate teorie complottiste sulla matrice "Antifa" e criminale delle proteste che sulla rete Fox sono descritte sempre come "riots", disordini. Incurante delle critiche, il titolare della Casa Bianca riprenderà i comizi il 19 giugno, guarda caso, da Tulsa in Oklahoma, dove ci fu una strage razziale.
13.06.2020