Reportage dalla città sulla laguna, senza più turismo
È morte a Venezia...
e la bellezza sfiorisce
VALENTINA SAINI DA VENEZIA
Noi non vogliamo redditi di cittadinanza. Noi vogliamo solo poter lavorare", dice al Caffè Isabella Tomasi, con l’orgoglio della veneziana doc che ha pianto nel vedere le calli e le piazze deserte per effetto del lockdown. È morte a Venezia, una città, una bellezza struggente che sfiorisce.
Tomasi con il marito gestisce una piccola gastronomia. La bottega trabocca di bottiglie di olio siciliano, cotechini dall’Emilia, vini veneti, insaccati e formaggi (e infatti si chiama "Prosciutto e Parmigiano"). "Non è il coronavirus che rischia di uccidere Venezia, già mezza uccisa del resto - dice Tomasi -. È il crollo degli arrivi. Se qui non tornano i turisti, la città scompare, e chissà a chi svenderanno le spoglie…"
La bottega fa l’80% delle entrate con i turisti. Turisti di medio-alto livello, precisa la commerciante: tedeschi, francesi, svizzeri. "Venezia vive di turismo, e l’unico modo per aiutarla è visitarla. Anche perché il Veneto è la regione più sicura d’Italia: qui c’è l’obbligo della mascherina, ci fanno tamponi su tamponi, noi negozianti continuiamo a sanificare, indossiamo sempre i guanti…"
In effetti è difficilissimo trovare un veneziano senza mascherina. Certo, le calli e i campielli, privi delle orde di turisti, sono silenziosi e piuttosto vuoti. In quasi dieci ore di esplorazione ci si imbatte soprattutto in piccioni poco vitali e gabbiani più docili del solito. Neanche uno straniero. Pochi veneziani, spesso negozianti impegnati a tirare a lucido il proprio esercizio, dopo due mesi di chiusura.
Altri però non riapriranno mai più, perché - come dicono vari negozianti - gli aiuti del governo non arrivano, le bollette si accumulano, e gli affitti sono esorbitanti: botte di tremila, cinquemila, diecimila euro al mese. "Quando arriveranno i soldi da Roma? Il presidente del Consiglio Conte crede che si possa pagare la gente con le belle parole? - si sfoga un tabaccaio che non vuole dire il suo nome -. Io ho la fortuna, diciamo, di poter vendere qualcosina ai concittadini. Ma chi ha un negozio di maschere? Un gondoliere? La gente è disperata".
Nella Venezia del post-lockdown la linea tra la bancarotta e la speranza di sopravvivere, tra il galleggiare e l’annegare, è sottile. Bisogna contare solo sugli acquisti dei veneziani. Che non sono in vena di spese pazze, e sono pochi: negli anni la comunità di residenti si è assottigliata, molti sono emigrati a Mestre o altrove, esasperati dal turismo di massa e da un costo della vita in salita. È l’altra faccia della "turistificazione" di Venezia. Il risultato è che oggi i bar stanno meglio degli hotel (e infatti qualche coppietta che ciacola e si concede uno spritz c’è), e i supermercati sono più in forma delle edicole, dove da due mesi non si vendono più né cartoline né copie del Times o dello Spiegel.
"Qualcosa vendiamo, ma solo a gente del luogo. Turisti, niente", nota Giulia, ventenne, commessa in un negozio di cosmetici della stazione. Ahmed è poco più grande di lei, viene dal Cairo e lavora (o meglio: lavorava) in un hotel. "Appena si può tornare a viaggiare normalmente vado in Germania. Un mio amico mi ha già trovato un lavoro. Qui non c’è futuro".
"A Venezia le attività ripartono solo se tornano i turisti internazionali: americani, cinesi, arabi - sintetizza Andrea Campanella, che lavora nella vetreria di famiglia a Murano -. Questa apocalisse ha messo in ginocchio tutti. La nostra azienda, per esempio, non ha mai messo in cassa integrazione nessuno, siamo sempre andati avanti. Ma ora la situazione è durissima".
Difficile dare torto all’imprenditore. Il turismo è la linfa della città, e senza di esso soffrono anche musei, librerie, teatri. Alberto Zen organizza a Venezia eventi musicali e culturali di prestigio. "Io oggi ho zero entrate - spiega -. Però penso che questa sia un’opportunità unica per cambiare, e puntare su un turismo più sostenibile. Ripensando spostamenti, flussi, uso delle risorse, mobilità locale".
Di recente il sindaco (di centrodestra) di Venezia, Luigi Brugnaro, ha proposto al governo un piano per rilanciare la città, e tutta Italia: puntando ad esempio sulla protezione della filiera turistica, e sulla creazione di un fondo nazionale per il sostegno degli affitti a uso abitativo. Per Jacopo Berti, capogruppo M5S in Consiglio regionale, "la monocultura turistica ha ucciso la vocazione di Venezia, città di mercanti e commerci. È stata museizzata".
23.05.2020