Perchè precariato e instabilità causano squilibri psichici
La mente degli svizzeri
s'è ammalata... di crisi
CRISTINA GAVIRAGHI
Un suicidio su cinque sarebbe legato alla disoccupazione. L’eclatante dato dell’Università di Zurigo, pubblicato un paio di anni fa su Lancet Psychiatry, mostra quanto la crisi economica abbia profondamente inciso sulla vita delle persone. La stessa ricerca, condotta su 63 Paesi di vari continenti, escludendo Cina, India e quasi tutta l’Africa, stima inoltre che la perdita del lavoro sia legata a un incremento del rischio di suicidio pari al 20-30 per cento.
In generale, in tutta la Svizzera, stando ai dati 2015 del rapporto dell’Obsan, Osservatorio svizzero della salute, quasi il 17% della popolazione soffre di un disturbo psichico, una persona su sei, per circa sette miliardi di costi sanitari. Intanto, lo scorso anno il British Medical Journal si è focalizzato sull’area europea, mostrando come l’aumento dei suicidi sia la punta di un iceberg alla base del quale c’è una quantità di disturbi mentali che ha subito un’impennata proprio dal 2007, anno in cui è scoppiata la crisi finanziaria.
Il precariato, l’instabilità lavorativa, la paura di non disporre più di risorse economiche sufficienti minano l’autostima dell’individuo, portano rabbia, frustrazione, squilibrio emotivo e alterazione dell’umore, aprendo il baratro della depressione, ansia e altri disagi della mente.
Già Freud sottolineava il ruolo fondamentale del lavoro nel determinare l’equilibrio psichico di una persona, concetto ribadito anche dall’Organizzazione mondiale della sanità che considera fondamentale per la salute non solo avere un’occupazione lavorativa, ma anche il fatto che questa sia qualitativamente significativa. Lo status di lavoratore aiuta a costruire la propria identità, conferisce riconoscibilità sociale e contribuisce a instaurare le relazioni ed è anche per questo, oltre che per gli aspetti economici, che perderlo destabilizza e rende fragili. Non per nulla molti programmi terapeutico-riabilitativi utilizzano proprio il lavoro come strumento per gli interventi di salute mentale.
Alcune stime indicano che un elvetico su sei soffra di un disagio psichico e che il 15 per cento della popolazione dichiari di avere qualche sintomo depressivo. Numeri in aumento, come in tutta Europa, anche per via delle incertezze legate alla crisi economica. E il fenomeno sembra essere trasversale per quanto riguarda il genere e l’età. Soffrono psicologicamente i giovani, preoccupati per non riuscire a costruirsi un futuro e anche gli over 60, in ansia per cosa attende figli e nipoti. La tendenza al suicidio sarebbe più diffusa tra gli uomini, mentre le donne sarebbero più inclini a sviluppare patologie mentali. La disoccupazione non ha ovviamente risparmiato la Svizzera, anche per via della crisi del sistema bancario, ma non tutti quelli che restano senza lavoro sono inevitabilmente destinati a depressione e simili. Chi è più stabile emotivamente e ha solide relazioni familiari e sociali ha buone prospettive di adattarsi, affrontare e superare le avversità.
Chi invece è più vulnerabile, anche per motivi genetici e ambientali, rischia di far emergere fragilità latenti che non solo possono evolvere in disturbi mentali, ma anche in forme di dipendenza. La crisi ha incrementato l’abuso di alcol, stupefacenti, e anche gioco d’azzardo. Nonostante siano in aumento, i disagi psichici restano per molti un tabù che occorre però superare. Servono interventi precoci da parte di specialisti e un maggior supporto a livello lavorativo per evitare che la crisi porti altre pesanti conseguenze.
10.09.2017